Migliaglia di militi senza nome
Migliaia di militi senza nome
Per anni interi milioni di uomini vivono, combattono e muoiono dentro “canali” di terra. La trincea è la casa dei soldati, un luogo orribile che significa sporcizia, pidocchi, malattia, fango, freddo, eppure rappresenta per i soldati quasi un posto gradevole rispetto alle terrificanti minacce della terra di nessuno. Tutte le testimonianze dei reduci concordano nel ricordare la trincea come un luogo che dà un senso di sicurezza perché per i soldati il vero terrore è rappresentato dall’assalto alla trincea nemica, la corsa verso i reticolati e verso le mitragliatrici avversarie; fuori dalla trincea la possibilità di rimanere in vita “era solo “una fecenna de fortuna”, come ricordava nei suoi racconti un soldato gualdese.
I soldati escono dalle trincee in ordine più o meno compatto, controllati dagli ufficiali e dai carabinieri che hanno l’ordine di sparare su chi si rifiuta di avanzare o perde tempo per i camminamenti laterali, e si gettano contro la trincea avversaria. Le mitragliatrici e la fucileria dei difensori martellano la “terra di nessuno” che separa le trincee, e gli assalitori, ridotto lo slancio a causa del terreno accidentato e delle barriere di filo spinato, diventano facili bersagli del fuoco nemico. Le perdite, per ogni attacco, sono ingentissime e per espugnare la trincea avversaria è necessario utilizzare grandi masse di combattenti.
Al Comando Supremo l’inventiva non è di casa, e così, attacco dopo attacco, metro dopo metro, i nostri soldati inondano di sangue i campi di battaglia. Per riassumere la situazione è sufficiente ricordare una nota del generale Cadorna, con la quale così definisce un attacco brillante:
“Per attacco brillante si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all’attacco un numero di uomini superiore: qualcuno giungerà alla mitragliatrice.”
I corpi dei caduti in combattimento rimangono insepolti nella terra di nessuno, esposti alle intemperie e destinati ad una rapida decomposizione, sino a quando si riusciva a conquistare la trincea avversaria ed a far avanzare il fronte.
Spesso si verificano situazioni orribili:
“Il numero dei morti italiani era tale che, una volta assestati sulle linee difensive, si ritenne indispensabile bruciare i corpi con ogni espediente, legna o liquidi infiammabili, per limitare almeno in parte l’odore nauseabondo che scaturiva dalla loro decomposizione, una soluzione forse triste e irriverente, ma necessaria”. (Acerbi Enrico, Strafexpedition, G. Rossato, Valdagno, 1992)
Questo spiega, in parte, l’altissimo numero dei militi caduti rimasti senza nome: dopo quasi cento anni dalla fine della guerra sui campi di battaglia emergono ancora i resti dei combattenti, solo negli ultimi venti anni ne sono stati recuperati ben 48 a ridosso delle vecchie trincee.
I corpi dei caduti che possono essere recuperati vengono sepolti in cimiteri provvisori, in genere posti a ridosso delle linee e delle zone di battaglia. Dopo la fine della guerra lo Stato Italiano si trova ad affrontare l’immediato problema di dare sepoltura adeguata ad uno smisurato numero di caduti seppelliti in una miriade di cimiteri di guerra. Per formare un comune sentimento che faccia dei combattenti il modello di una razza che si considera nuova, si costruiscono imponenti Sacrari in cui riunire i caduti; purtroppo, durante la riesumazione dei corpi dai cimiteri provvisori, vengono perse per incuria molte piastrine rendendo vano il successivo riconoscimento delle salme.
Tuttavia la causa maggiore di un così elevato numero di militi ignoti deriva senz’altro dal tipo di piastrina in uso durante la Grande Guerra.
La piastrina di riconoscimento era costituita da un involucro metallico con apertura a conchiglia, al suo interno trovava spazio un cartoncino con scritte le generalità del soldato; il tempo e gli eventi atmosferici finivano con il rendere illeggibile le generalità ivi riportate e risultava impossibile risalire all’identità del soldato caduto. Quando i corpi venivano recuperati, all’interno della piastrina di riconoscimento non veniva trovato altro che una poltiglia di carta macerata.